Scoperta di funghi e ricette a Salina pt.4

L’autunno a Salina si rivela ancora una volta benevolo. In particolare, il mese di ottobre continua a dimostrarsi uno dei mesi più belli nell’arcipelago eoliano. In una dimensione in cui al mare si accosta la montagna, tornano nuovamente le escursioni in cui è anche possibile raccogliere funghi.

Su queste pagine virtuali si è già parlato di esemplari particolari e gustosi come il Boletus luridus, il Lactarius deliciosus e Hydnum repandum (articoli che consigliamo di leggere), le cui descrizioni sono sempre state accompagnate da ottime ricette. Stavolta, è il turno della Macrolepiota procera, meglio conosciuta come “Mazza di tamburo” (chiamata anche in tanti altri modi, tra cui “puppola” o “bubbola maggiore”). Si tratta di un fungo il cui cappello può superare a volte anche i 25 cm, con un’altezza che in determinati casi arriva a 45 cm. Da qui il nome latino procerus, che per l’appunto significa slanciato, affusolato.

Inizialmente di forma sferoidale (foto in basso), che lo fa somigliare proprio ad una mazza per percuotere un tamburo, il fungo va man mano allargandosi fino a diventare uno degli esemplari più vistosi. Liscio al centro e poi coperto da scaglie molto brune disposte radialmente, sempre più rade verso il margine del cappello che risulta sfrangiato. Una cuticola color nocciola-biancastra, di consistenza setosa, la cui consistenza è molto delicata. Le lamelle sono numerose, fitte e irregolari, bianche o giallastre, poi tendenti ad un rosato-bruno, nonché imbrunenti al tocco, distaccate dal gambo.

Le mazze di tamburo vanno estratte intere per facilitarne il riconoscimento e denotano alla fine del gambo una forma di bulbo. Sul gambo stesso – dalle squamature lisce e color caffè-latte – hanno un anello doppio, scorrevole. La carne è molto tenera, bianca, dall’odore farinoso e dal sapore quasi di nocciola. Proprio per la sua delicatezza, nelle classiche ricette con la pasta o il riso tende a perdere il sapore, anche se risulta molto dolce col pomodoro fresco. Ecco che allora le preparazioni migliori risultano essere alla piastra o – ancora meglio! – a cotoletta fritta.

Occorre quindi separare il cappello dal gambo, pulirlo bene con un panno umido, tagliarlo a quartini e quindi passarlo prima nella farina, poi nell’uovo e quindi nel pan grattato. Bisogna comunque avere l’accortezza di non pressare come si farebbe con una fetta di carne, perché così – dopo la frittura ad alta temperatura – si verrà a creare una panatura nettamente migliore, con una sorta di vuoto tra il fungo e l’involucro stesso. Attenzione: le mazze di tamburo non vanno assolutamente consumate crude, in quanto risultano tossiche. Di contro, una buona cottura uniforme elimina qualsiasi presenza di tossicità. A tal proposito c’è chi sconsiglia di congelarle, proprio perché aumenterebbe il fattore nocivo. È anche aperto il dibattito se la tossicità aumenti o meno quando si mette il fungo in acqua per farlo schiudere dopo la raccolta. Possono però essere sicuramente conservate sott’olio dopo una bollitura in acqua e sale.

Per quanto riguarda il gambo, molto fibroso e legnoso, va essiccato e quindi sbriciolato per crearne un aroma da utilizzare nei risotti.

Questi funghi crescono nei boschi di latifoglie e conifere, con la possibilità di ritrovarli nei prati, nelle radure, persino nei bordi delle strade. A Salina sono dei classici funghi autunnali, che crescono in gruppo soprattutto nelle scarpate, anche se è possibile trovare degli esemplari solitari. Attenzione però a non confonderli con specie velenose come il Chlorophyllum rhacodes, l’Amanita pantherina o la Macrolepiota venenata. La carne di quest’ultima cambia colore appena tagliata e comunque le dimensioni risultano più contenute. Un ulteriore motivo per affidarsi sempre a degli esperti e non lasciarsi mai andare all’improvvisazione.

 Michele Merenda