Daniele Nardi: tra Salina e il K2, perché tutti siano una cosa sola

Foto estrapolata dalla pagina Facebook

 

In cima a Monte Fossa delle Felci, a 962 m, alla base di una piccola montagnola di pietre sormontata da una croce di legno c’è una targa in pietra: “ISOLA DI SALINA-K2 FREEDOM 2007 – affinché tutti siano una cosa sola”. Fu posata in quel punto da Daniele Nardi, alpinista di Sezze (Latina) innamorato delle Eolie in generale e di Salina in particolare. Volle essere un tributo a chi, salito con lui in cima proprio al K2, non riuscì purtroppo a fare mai più ritorno a casa. Quella targa voleva essere un omaggio a chi non c’era più, unendo idealmente la cima più alta dell’arcipelago eoliano con una delle vette più pericolose e alte del mondo (spesso si è in disaccordo se il più alto sia proprio questo monte o l’Everest), affinché il ricordo non svanisse.

Come è noto agli amanti delle scalate, da domenica 26 febbraio non si hanno più notizie di Daniele Nardi (42 anni) e del suo compagno di avventura Tom Ballard, britannico di 30 anni. Dispersi mentre tentavano la scalata in Pakistan al temibile Nanga Parbat (8.126 m) dopo una ingente nevicata, la situazione si è ulteriormente aggravata a causa del conflitto indo-pakistano, rendendo di fatto le ricerche ancora più difficoltose. Occorreva persino pagare per sorvolare con dei droni lo spazio aereo (leggi articolo), anche se l’ambasciata italiana era riuscita a risolvere qualcosa. Ma nella data in cui si sta scrivendo – domenica 3 marzo 2019 – si è dovuta sospendere qualsiasi operazione a causa di un brusco rovescio meteorologico. Le ultime parole di Nardi sono state quelle scambiate con la moglie proprio domenica (link), poi silenzio più assoluto, con la tenda travolta dalla neve (qui il suo ultimo video).

Per Daniele, che si preparava da cinque anni (era già salito in estate, ma voleva sfidare se stesso anche nella temibile stagione invernale), passare dal pericolosissimo tratto dello sperone denominato “Mummery” fino ad arrivare sulla nona vetta più alta del pianeta sarebbe stata la realizzazione di una vita. Si ricorda che da quel percorso scese per disperazione Reinhold Messner, subendo però la morte del proprio fratello che si era attardato e quindi poi travolto da una valanga. Uno scalatore esperto (soprattutto in inverno) come Simone Moro – salito su quella cima per un’altra via – non ha mai voluto tentare questa impresa, conscio che ritrovarsi in mezzo ad una di quelle slavine corrisponderebbe ad essere investiti da un palazzo di 10 piani (qui l’intervista).

Dopo una doverosa ricostruzione dei fatti, per quanto stringata, si vuole ricordare un ragazzo che come detto amava Salina e le altre isole, non vedendo l’ora di poterci tornare. Si fermava a parlare con tutti, era sempre felice di raccontare le sue storie e ogni volta le si ascoltava appassionati, perché narrate con entusiasmo e senza inutili fronzoli. Erano note le collaborazioni negli eventi culturali con la Biblioteca di Malfa in cui ha più volte incontrato i ragazzi del scuole locali (così come ha del resto fatto in tutta Italia), oltre a partecipare anche alle gare locali di nuoto nel periodo estivo; avvenimenti sportivi in cui si voleva cimentare proprio perché viveva in tutto e per tutto la parte più bella della realtà eoliana.

Tutti si augurano che la buona notizia arrivi insperata, che i nostri siano riusciti a sopravvivere all’inferno di ghiaccio grazie ad una tempra e ad una preparazione fuori dal comune. Sarebbe un altro magnifico racconto da ascoltare, magari di nuovo sul magico cratere di Monte Fossa delle Felci, tra querce e castagni. Ma se così non fosse, sappiamo bene che Daniele Nardi e anche Tom Ballard rimarranno per sempre nella Storia isolana. Per sempre una cosa sola, come desiderava lui.

Michele Merenda